LA PRIMA FRATTURA COSMICA

LA PRIMA FRATTURA COSMICA

“Ciò che è intero… è solo ciò che non è mai stato osservato troppo a lungo.”

La notte dopo che la Frattura aveva cominciato a parlare con la voce del padre, Ari’el si addormentò senza attendere il sonno, lasciando che il sonno attendesse lui. Gli occhi, stanchi di aver visto troppo a lungo ciò che non si sarebbe mai dovuto nemmeno immaginare, si chiusero ancora prima che il corpo affondasse nel letto. Non gli venne incontro il solito sogno, quella pellicola un po’ sgranata fatta di reminiscenze e luci spente, ma una strana veglia in cui tutto era lento eppure denso, come se il tempo si fosse solidificato. Ari’el si ritrovò a camminare, non nel luogo dove aveva addormentato se stesso, ma in un paesaggio fatto di cielo spezzato. Non un cielo inteso come distanza sopra la testa, ma una distesa di brandelli orizzontali, azzurri tagliati di netto, dappertutto.

I frammenti di cielo parevano sospesi, galleggianti a qualche metro sopra il suolo, e ognuno aveva un bordo netto, come strappi di carta fatti da un bambino impaziente. Sotto quei pezzi inconsistenti, il mondo era solo linee e superfici incomplete: le montagne cominciavano e finivano senza motivo, i fiumi serpeggiavano controcorrente e poi evaporavano a mezz’aria, le strade non portavano da nessuna parte ed erano costellate di segnali incomprensibili, quadrati bianchi su pali senza scritte. Alcuni pezzi di città sorgevano dal nulla, ma nessuno aveva radici: erano prospettive di palazzi, scale che salivano solo di mezza rampa, marciapiedi che oscillavano sulle onde della gravità. Nell’aria, nessun rumore; solo il colpo sordo dei piedi di Ari’el che, pur senza corpo, lasciava orme di luce ad ogni passo.

E la luce? Non veniva dal sole, perché il sole non esisteva in quel sogno. Era una luce rovesciata, che iniziava sotto i piedi e si spargeva solo fin dove bastava per vedere lo sbaglio successivo. Ogni passo creava una linea, e ogni linea rimaneva sospesa, come la traccia di un linguaggio mai pronunciato: una scrittura inedita che si dissolgeva appena la si tentava di leggere. Ari’el avanzava, ma la distanza era un concetto flessibile. A volte bastava un’idea per essere cento metri oltre, altre volte un pensiero bastava a rimandarlo al punto di partenza. Eppure, lì davanti – nonostante tutto oscillasse, franasse, si ricomponesse – c’era sempre una fenditura. All’inizio, solo un taglio nell’orizzonte, poi una crepa più ampia, sempre più vicina. Era una frattura, sì, però non come quelle che aveva visto nelle notti precedenti tra le pareti del vecchio palazzo: questa non stava nel muro, ma nel meccanismo stesso del paesaggio.

Ari’el la vide chiaramente: una ferita lunga e nera che tagliava a metà la consistenza del sogno. Non un portale, perché oltre non si vedeva nulla; non una porta, nemmeno una soglia. Era come se qualcuno avesse preso la tela stessa su cui si dipingono i sogni e avesse deciso di strapparla, lasciando che il dietro – qualsiasi cosa fosse il dietro – si riversasse davanti. La fenditura pulsava piano, come la vena di un cuore malato. Intorno ad essa, la geometria dell’ambiente cominciava a perdere significato: i pezzi di cielo roteavano, i brandelli di montagna si liquefacevano e le strade si attorcigliavano fino a diventare spaghi che finivano tutti dentro la ferita.

Ari’el sapeva di doverci entrare. Non per volontà, ma perché tutto nel sogno conduceva lì, ogni percorso, ogni interruzione, ogni segnale bianco senza scritta. Provò a fermarsi, ma i piedi si muovevano da soli, come se lo spazio sotto di lui fosse un nastro trasportatore. Avvicinandosi, la Frattura sembrava allargarsi, ma non era vero: era lui a ridursi, a scomparire prospetticamente nel dettaglio, nel capello d’angelo d’un taglio cosmico. Appena prima di toccare il bordo della ferita, il suono di qualcosa che si spezza – non un oggetto, ma una logica – attraversò il sogno. E fu allora che Ari’el comprese che ciò che stava per affrontare non riguardava solo la sua mente o il suo passato, ma la struttura stessa di ciò che teneva uniti i mondi.

Attraverso la Frattura:

Ari'el vi entrò senza esitare. Il primo impatto fu un silenzio innaturale, un'assenza di rumore così totale da sembrare che persino i pensieri fossero costretti a fermarsi, sospesi nel nulla. Dall'altra parte si stendeva un campo vuoto e curvo, come un vasto oceano di erba che ondeggiava sotto un cielo immobile, abitato unicamente da una figura enigmatica. Questa figura era alta e sottile, con contorni quasi evanescenti, priva di dettagli visivi che la definissero. Il suo volto era un groviglio di simboli, intricati e mutevoli, che si annullavano l'un l'altro come un enigma visivo impossibile da decifrare. Era la manifestazione di un'entità che non desiderava essere ricordata, eppure continuava a esistere, sfidando l'oblio.

Parlò senza emettere suono, le parole sembravano formarsi nella mente di Ari'el, come un sussurro etereo: "Sei venuto troppo presto. Ma anche troppo tardi per restare innocente." Ari'el rimase in silenzio, consapevole che qualsiasi parola avrebbe potuto rendere quella Frattura ancora più profonda, come una crepa che si allarga in un vetro già fragile.

L’Occhio che Osserva la Deviazione:

Attorno a loro, comparvero occhi fluttuanti, vagabondi e privi di pupilla, simili a sfere di vetro opaco. Non si posavano su Ari’el con sguardo intenzionale, ma sembravano raccogliere i suoi ricordi, come se li assaporassero direttamente dalla superficie della sua pelle. Uno di questi occhi si avvicinò al suo avambraccio destro, un movimento lento e ponderato. Il sigillo lì presente, fino ad allora inerte, si accese per la prima volta. Non emanò alcuna luce visibile, ma irradiò un’energia palpabile che respinse l’occhio, il quale si dissolse con un suono secco e sordo, simile al fruscio di una parola cancellata a metà da una pagina.

Frattura Risonante:

La creatura-tessuto non tentò un attacco. Invece, si trasformò nell'ambiente circostante. Il campo attorno ad Ari’el cominciò a mutare lentamente, prendendo le sembianze della stanza in cui dormiva da bambino. Tuttavia, ogni dettaglio sembrava fuori posto: la finestra si apriva su un paesaggio sconosciuto, con colori e forme mai visti prima. La porta, chiusa dall'interno, emanava un senso di mistero e inquietudine, ma nessuno si trovava dall'altra parte. La luce che riempiva la stanza era calda e avvolgente, ma proveniva da un ricordo che Ari’el non aveva mai vissuto, come una reminiscenza di un sogno dimenticato.

Ari’el iniziò a sudare, combattuto tra il desiderio di scoprire la verità e il timore di ciò che avrebbe potuto significare. Il suo corpo faticava a sopportare il peso delle rivelazioni in arrivo. Il battito si fece più lento, incerto, come se esitasse tra il fuggire e il restare. Ogni pensiero si trasformava in un urlo soffocato nella nebbia, confondendo ancora di più la sua mente.

Il Primo Gesto di Risonanza Consapevole

Per la prima volta, Ari'el agì con una determinazione mai provata prima. Non si curò di aspettare una visione. Non si lasciò trascinare dalla corrente. Con un gesto deciso, aprì la mano destra e tracciò un simbolo nell'aria con forza e precisione. Non l'aveva mai visto prima, ma sentiva nel profondo che era quello giusto. Tre curve intrecciate, come un'onda piegata tre volte con potenza inarrestabile. Quando completò il gesto, l'intero campo esplose in un crollo violento. La creatura-sfondo si frantumò in segmenti fluttuanti, simili a schegge di vetro infranto sospese in un caos ordinato. E una voce... profonda e potente, non più impersonale, risuonò dal suo stesso essere: "Ora sai che puoi alterare il sogno. Ma sappi che ogni volta che lo farai... ti allontanerai irreversibilmente da ciò che eri."

Risveglio della Rottura:

Ari’el si svegliò con la pelle calda, il simbolo tracciato nel sogno impresso in trasparenza sul palmo destro. Non era visibile agli altri, ma quando lo guardava attraverso uno specchio, rifletteva una luce nera inquietante. Si sentiva diviso tra la curiosità e il timore di ciò che significava. La madre entrò. Lo osservò con un'espressione enigmatica e disse solo: “Stanotte ho sognato il mio primo respiro. Ma c’eri tu. Non ero io.” Quelle parole lo lasciarono ancora più turbato, oscillante tra la necessità di sapere di più e il desiderio di ignorare tutto.

Primi effetti sulla realtà:

Dal giorno seguente, ogni stanza che Ari’el attraversava sembrava rilasciare un’eco ritardata della sua presenza. I suoni delle persone, come un'onda distante, arrivavano un secondo dopo, creando un'atmosfera surreale e quasi onirica. Le frasi dette si ripetevano nella mente degli altri, ma come se fossero state modificate da un sussurro segreto. Una compagna di scuola si sentì dire da lui: “Tornerà.” Ma, in realtà, Ari’el non aveva mai aperto bocca.

Ari’el aveva attraversato una Frattura, una crepa invisibile che aveva cambiato la sua essenza. Ma non era rotto, anzi, era come se una nuova energia lo avvolgesse. Il mondo, però, lo avrebbe sentito spezzarsi d’ora in avanti. Non perché lo vedesse, ma perché ogni cosa che lui toccava cominciava a non corrispondere più alla sua stessa memoria, come se le sue dita fossero diventate chiavi di un'armonia diversa. Una linea era stata superata, un confine invisibile che aveva alterato la sua realtà. E il sigillo sul suo braccio, intriso di un misterioso potere, ora pulsava con ritmo, come il battito di un cuore nascosto, emanando una luce soffusa che sembrava danzare al ritmo del suo nuovo destino.

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